L’assenza sul territorio nazionale di un’adeguata rete di impianti di trattamento costringe il nostro Paese ad esportare ogni anno ingenti quantitativi di rifiuti provenienti da attività industriali che all’estero vengono trasformati in nuove materie prime e in energia. Un gap che costa al Paese circa 1 miliardo di euro l’anno.
La denuncia emerge dal Report “Ambiente, Energia, Lavoro – La centralità dei rifiuti da attività economiche”, presentato da Assoambiente (Associazione Imprese Servizi Ambientali ed Economia Circolare).
Nel 2019 (ultimi dati disponibili per i rifiuti speciali) la produzione di rifiuti in Italia ha superato quota 193 milioni di tonnellate, di questi ben 163 mln sono speciali (cioè provenienti da attività industriali) e circa 30 mln sono urbani. I primi rappresentano quasi l’85% della produzione complessiva di rifiuti, oltre 5 volte gli urbani, un dato che conferma la rilevanza strategica, anche in termini economici oltre che ambientali, di un loro adeguato trattamento in Italia.
Il Report prende in considerazione proprio questi rifiuti, escludendo quelli del comparto costruzioni e demolizioni, mentre i rifiuti speciali derivanti dal trattamento degli urbani, quando possibile, sono stati posti in evidenza e distinti dai restanti volumi di rifiuti di matrice industriale.
In quali regioni se ne producono di più?
I rifiuti speciali, al netto di quelli derivanti dal comparto costruzioni, nel 2019 hanno registrato una produzione pari a quasi 111 mln di tonnellate. Partendo da questo dato, il Report si focalizza in particolar modo sui rifiuti direttamente prodotti dalle “attività economiche”, circa 65 milioni di tonnellate: di questi, oltre 36 mln di tonnellate (pari al 55%) sono stati prodotti dalle aziende manifatturiere. Analizzando i dati di produzione a livello regionale, emerge come i volumi si siano concentrati principalmente nelle regioni del Nord Italia, per l’elevato numero di realtà produttive presenti, per il numero di abitanti e per la relativa dotazione impiantistica dedicata alla gestione degli scarti prodotti. In questa speciale graduatoria di “maggiori produttori” in testa è la Lombardia (con 23 mln di tonnellate di rifiuti speciali prodotti), seguita da Veneto (12), Puglia (11), Emilia-Romagna (10), Piemonte (7), Toscana (7) e Lazio (7).
Come vengono trattati?
Oltre che nella gestione dei rifiuti urbani, l’Italia è leader anche nel riciclo e recupero di rifiuti speciali. Nel 2019 il 65% delle oltre 109 mln di tonnellate di rifiuti speciali gestiti è stato avviato a recupero (di materia e di energia) ed il restante 35% ad operazioni di smaltimento (incenerimento, discarica, stoccaggio finalizzato allo smaltimento finale o altre operazioni come il trattamento chimico-fisico).
Oltre 15 milioni di rifiuti speciali vengono ancora destinati alla discarica, soprattutto al Centro e al Sud, mentre quasi 7 milioni di rifiuti hanno come destino gli impianti di incenerimento o recupero energetico: di questi quasi 1 mln di tonnellate è destinato a incenerimento, il restante è gestito anche con impianti quali cementifici, impianti privati di incenerimento di scarti produttivi e di processo industriali (es. legno), “torce” per la produzione di energia elettrica con biogas da discarica o da impianti di compostaggio.
L’attuale capacità impiantistica
Sul territorio nazionale esistono 11.200 impianti di trattamento dei rifiuti speciali, con forte disomogeneità fra le diverse aree del Paese, a prescindere dai dati di produzione: ad esempio la Puglia
con circa 11 mln di tonnellate di rifiuti speciali prodotti, dispone di 612 impianti, mentre il Veneto, a fronte di un dato di produzione di quasi 12 mln di tonnellate di rifiuti speciali, dispone di 1.190 impianti. Rispetto al totale degli oltre 11mila impianti, circa il 58% è concentrato nel Nord Italia, il 17% al Centro e il 25% al Sud e Isole. Circa 27 mln di tonnellate (24% del totale) di rifiuti speciali sono state trattate in un territorio diverso dalla Regione di produzione.
I flussi verso l’estero
Nel 2019 sono state conferite all’estero oltre 4 mln di tonnellate di rifiuti speciali prodotti in Italia, destinate nel 50% dei casi verso paesi vicini come Germania, Austria, Francia, Svizzera e Slovenia. La sola Germania ne ha accolte 800.000 tonnellate. Il 23% dei rifiuti esportati è stato destinato ad impianti di incenerimento o recupero energetico, il 14% è stato conferito in discarica o avviato ad altre operazioni di smaltimento, mentre i restanti flussi sono stati destinati ad impianti per il recupero di materia.
“I volumi di rifiuti speciali annualmente esportati sono un forte segnale di carenza impiantistica, particolarmente preoccupante se si considera la previsione di crescita industriale stimata per i prossimi anni. Senza una pianificazione strategica di investimenti in nuovi asset dedicati, si amplierà il gap tra i quantitativi da avviare a trattamento e gli impianti sul territorio”, ha commentato Marco Steardo – Presidente della Sezione Rifiuti Speciali di Assoambiente.
Secondo le analisi formulate da Assoambiente, già oggi si evidenzia un fabbisogno impiantistico superiore a 10 milioni di tonnellate di rifiuti/anno e un fabbisogno cumulato nei cinque anni (2021-2025) pari a circa 34 milioni di tonnellate. Non colmare questo gap significa continuare a cedere all’estero valore economico pari a circa 1 miliardo di euro l’anno, al netto delle perdite in termini occupazionali, di produzione di materie prime ed energia e, non ultimo, di gettito fiscale, legate alla mancata gestione all’interno del Paese.
La sola mancata produzione di energia generabile dai rifiuti destinati ad essere “termovalorizzati” all’estero è stimabile fra i 330.000 e 400.000 MWh all’anno, che, per un Paese come l’Italia che importa energia, si traduce in un costo annuo, a valori di mercato, fra 40 e 60 milioni di euro.
“La realizzazione degli impianti di riciclo, di recupero di materia e di energia”, ha aggiunto Steardo, “deve essere adeguatamente pianificata, privilegiando la realizzazione di impianti a servizio di distretti produttivi specifici nei quali la gestione dei rifiuti si integrerebbe, producendo materie prime seconde e/o energia utili al distretto stesso. Perché ciò avvenga deve consolidarsi un quadro normativo rigoroso, ma inequivocabilmente applicabile, che, in condizioni di sicurezza per l’ambiente e per la salute, favorisca dove possibile la trasformazione dei rifiuti in materia, attraverso specifici processi ‘end of waste’”.